fbpx Le Lecce dell'Ebro, parte seconda
Skip to main content
Language

Le Lecce dell'Ebro, parte seconda

IMG_6674

Si è da poco concluso il nostro secondo viaggio nel Delta dell'Ebro.
Dovevano essere dieci giorni di pesca in full immersion, dieci giorni a lanciare fino a non sentire più le braccia. E così è stato — ma solo quando il meteo ce lo ha permesso. Tra allerte, acquazzoni e giornate di vento teso, le ore effettive di pesca si sono ridotte a circa la metà, e non sempre con le condizioni ideali per la nostra ricerca: la leccia amia, la regina argentea delle acque salmastre.

Nei primi giorni, invogliati dalle foto viste sui social, abbiamo dedicato mezza giornata alle lampughe, giusto per alleggerire un po' la tensione. Doveva essere un momento di relax con attrezzatura light, ma si è trasformato in un vero delirio di attacchi su grosse stickbait, tra mangianze miste di tonni e alletterati.

Un fuori programma intenso, ma la nostra testa era altrove. Tornati verso la foce, ci siamo subito rifocalizzati sull'obiettivo principale: la leccia. Nel pomeriggio e nel giorno successivo abbiamo avuto solo qualche contatto con piccoli esemplari, nonostante i numerosi inseguimenti che continuavano ad alimentare la speranza.

big Bait utilizzate a casting

I primi giorni utili li abbiamo sfruttati tutti dalla barca, cercando di approfittare di ogni ora di sereno. Dopo due giornate in cui le uniche emozioni erano arrivate al largo, le acque del Delta sembravano volerci negare qualsiasi gioia.
Gli inseguimenti non mancavano, soprattutto sulla Balam 245, ma gli attacchi a vuoto e i pesci persi cominciavano a pesare. La sensazione era quella di avere la fortuna contro.

Al terzo giorno, giusto per non farci mancare nulla, abbiamo dovuto sacrificare la prima ora di pesca per recuperare un gommone in panne.
Una giornata che sembrava nata storta, ma il mare — come spesso accade — aveva altri piani.

Appena tornati sullo spot, era cambiato tutto: l'acqua era viva, con cacciate sotto sponda, pesce in attività e quell'adrenalina che solo chi pesca conosce bene. È bastato un lancio per sentire la prima botta seria e piegare la Zenaq SINPAA 81/80, la canna che avevo scelto per questa avventura.
Da lì, io e il mio amico Elia Cervellin siamo riusciti a catturare tre belle lecce in poco tempo, prima che l'attività svanisse all'improvviso, come se nulla fosse mai accaduto.

Un lampo di fortuna e tecnica che ci ha dato la carica per continuare. 

Poi il meteo ha ripreso il sopravvento: giorni di pioggia ininterrotta, vento e bollettini di allerta alluvione. L'Ebro si è trasformato in un fiume di fango che scaricava in mare acqua densa, color cioccolato.
Io ed Elia eravamo allo stremo, mentalmente e fisicamente. L'umore era sotto zero e la decisione, quasi inevitabile, è stata quella di annullare l'ultimo giorno in barca: le condizioni sembravano davvero impossibili.

Ma l'Ebro, come sempre, sa sorprendere.
L'ultima mattina ci siamo svegliati prestissimo, più per abitudine che per convinzione. Guardando il mare abbiamo notato che, nonostante il colore fosse pessimo, almeno era calmo. In quel momento ci siamo guardati e abbiamo capito che dovevamo provarci.

In pochi minuti siamo tornati in appartamento, preparato le canne — la Zenaq SINPAA 81/80 e la Zenaq Plaisir Answer Sopmod B-80 — e ci siamo diretti verso la foce. Il fiume sembrava solido, da quanto era torbido, e il mare, per chilometri, non era da meno. 

Ma non tutto era perduto.

beacon 180, Popper perfetto per la ricerca della leccia

Arrivati sullo spot, ci siamo accorti che il lato ovest del delta era sorprendentemente pulito, con solo una sottile fascia di sabbia torbida sotto costa. Era la nostra occasione.
Abbiamo iniziato a lanciare e, dopo pochi minuti, Elia ha avuto un inseguimento: niente cattura, ma abbastanza per riaccendere la speranza.

Cambio stick, scelgo un modello leggermente più piccolo e, dopo pochi lanci, arriva la legnata che sognavo da giorni. Una botta secca, inconfondibile, che ti attraversa tutto il corpo.
Inizia un combattimento lungo e delicato: il pesce ci porta a zonzo per quasi un miglio prima di arrendersi. Quando finalmente lo abbiamo issato in barca, la sua mole parlava da sola.

Non era semplicemente il pesce più grande del viaggio: era il pesce che cercavo da quando ho iniziato a pescare a spinning.
Tra un urlo, un abbraccio con Elia e qualche lacrima che non sono riuscito a trattenere, ho capito che quel momento avrebbe segnato per sempre la mia storia di pescatore.

Pochi minuti dopo, anche quella lingua d'acqua pulita su cui pescavamo si è tinta di fango. Come se tutto fosse scritto nel destino: un'ultima finestra, un solo colpo, il pesce della vita.

la grossa leccia amia dell'Ebro

Il Delta dell'Ebro ancora una volta ci ha insegnato quanto la pesca sia fatta di ostinazione, pazienza e momenti irripetibili.
Abbiamo lanciato finché le braccia non reggevano più, affrontato vento e pioggia, ma alla fine il mare ci ha restituito molto più di quello che speravamo.

Il resto degli obiettivi arriverà, con il tempo e un po' di fortuna. Ma questa cattura, questa leccia, resterà il simbolo di una passione che non si arrende e di un sogno diventato realtà. 

Tra gli ostacoli con Evergreen Combat Crank 120
Street Fishing with Evergreen International – Catc...

Related Posts